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Quando non avevamo paura di amare

15-05-2017 12:30

Ho rivisto recentemente "Paura d'amare"‎con Michelle Pfeiffer e Al Pacino, uno dei miei film d'amore preferiti.
E come tutti i film degli anni 80-90 mi mette una nostalgia mostruosa‎ perché improvvisamente mi manca tutto di quell'epoca e chi c'era penso possa condividere con me quella nostalgia li fatta di quella "roba" semplice tipo l'attesa, la genuinità e il tempo. La trama é di una semplicità unica, come sempre quando hai attori giganteschi a portata di mano. Lei fa la cameriera in una squallida tavola calda, mi pare, nel New Jersey (e non il glamour spinto dei locali fichi di Manhattan) e nonostante sia bella come il sole, non ha velleità artistiche e non fa la cameriera aspettando di essere notata da un agente di moda, fa la cameriera e basta per pagare l'affitto. Quindi la prima cosa che noti é: Toh! La realtà! 
Poi arriva Al Pacino, appena uscito di galera per truffa (non era colpa sua e c'erano dietro nobili motivi... vabbè ovvio sennò che principe era!) e viene assunto come lavapiatti dal titolare della tavola calda che crede fermamente nelle seconde possibilità ( è l'adorabile concierge che insegna a mangiare le lumache a Julia Roberts in Pretty Woman). ‎
Ora, la nostra Michelle ha un carattere di merda perché, lo capiremo strada facendo, esce da una storia con uno stronzo che la picchiava e che a forza di botte le ha fatto perdere il bambino e anche la possibilità di avere altri figli, quindi sì, è incazzata nera e ha tutte le ragioni per esserlo. 
Al, come vi dicevo è spiantato, non è giovane e nemmeno bello e soprattutto ha già avuto una bella dose di legnate dalla vita, ma ha una qualità sopra tutte: é uno che non si arrende ed è convinto che le cose possano cambiare. In meglio.
Lui la ama e ha tutta l'intenzione di farle capire che ci sarà sempre, che si può fidare e che lui è diverso (ancora non sa perché lei si comporti da stronza quindi è innamorato a prescindere!). 
No, non è una questione di una sveltina e via, perché proprio quando lei lo rifiuta per la trentesima volta a suon di vaffanculi e lui cede alle avances della collega belloccia e disponibile, ha una dafaillance di quelle da "scusa dev'essere stata la parmigiana!".
E Al allora aspetta, e aspetta, lei fa un passo avanti e 4 indietro, lui le tende la mano, lei un po' la prende un po' gliela schiaffeggia, ma nonostante tutto lui non si muove di là. 
Perché sa che è questione di tempo.
E' tutto qui, niente scarpe di Manolo e anelli da 15 carati, ma una rosa intagliata in una rapa e intinta nel succo delle barbabietole, niente telefonini, ma un unico telefono col filo sempre occupato, niente selfie ed emoticon ma sguardi, dubbi, tentativi, speranze, fiducia, voglia di buttarsi, paura di sfracellarsi e il tutto raccontato nella maniera più vera e semplice possibile. Com'era vent'anni fa.  
Se Michelle alla fine si fiderà? Non lo sappiamo fino in fondo , ma di certo deciderà di provarci, li vediamo in piedi davanti al lavandino nel bagno di lei che si lavano i denti in un'alba newyorkese col sottofondo delle immancabili sirene.
Non si sono conosciuti su Facebook, non chattano con whatsapp, non si mettono dei like, non usano i filtri per Instagram, non si sono trovati su Tinder, non sono glamour, non sono ricchi, "sono" e basta.
Ed è lì che la malinconia mi è esplosa dentro prepotentemente, perché mi sono chiesta: ma ci abbiamo davvero guadagnato con tutta 'sta tecnologia e connessione? Non è che ci è scappato tutto di mano? Che stiamo fissi col naso nel telefonino e ci facciamo sfuggire la realtà? 
E mentre scrivo questo post sul mio smartphone in metro anch'io mi sto perdendo la realtà. 
Poi alzo la testa e vedo altri come me col naso infilato nel telefono e allora mi dico che sì, dovevamo fermarci là.